L'esperienza di Teodoro D'Amici e la testimonianza di tanti laici agli avvenimenti "straordinari" di Jaddico
Sapete cos’è “l’occhiatura”?, lo so, non lo sapete.
Una parola d’altri tempi, una parola che ha il sapore del dialetto brindisino, una parola della quale solo i vecchi di Brindisi ancora ne conoscono il significato.
I brindisini, quelli di antica data, tramandavano la notizia dell’ ”occhiatura“ di Jaddico. Insomma, per capirci, a Jaddico era nascosto un tesoro.
Nessuno sapeva dove. Eppure era lì.
Un mistero circondava quel muro di Jaddico. Il giovane Rino Rescio, ora ottantenne, raccontava di un camminamento sotterraneo che da Jaddico portava al mare.
Nel 1962 i giornali locali scrivono di fatti prodigiosi che accadono a Jaddico.
Le voci dei brindisini si rincorrono: “una farsa“, dicono. Si tratta di una manovra, di una messa in scena che Teodoro ha messo in piedi per prendere possesso di quel tesoro. Una tesi avvalorata anche dal fatto che a Jaddico si inizia a scavare. Fremono infatti i primi lavori per la costruzione della futura chiesa, e naturalmente si parte dalle fondamenta.
Sappiamo tutti quanto Teodoro sia stato riservato sui fatti di Jaddico. Non ama parlarne. Se alcuni giornalisti di Brindisi, segnalano questo comportamento del D’Amici altri, addirittura, si lamentano.
Alla fine, messo alle strette, D’Amici cede, finalmente parla ed ammette: “Il tesoro di Jaddico io l’ho trovato, quel tesoro è la Madonna.”
Ma adesso sarà bene tracciare brevemente il profilo di questa persona.
Può capitare che tra colleghi, tra vigili urbani, si possa dire: “Vedi quella macchina che sta passando? A quello devi fare la multa.“
Queste sono parole che Teodoro dice ad Antonio Pronat, un suo collega con il quale fa servizio in motocicletta e fa pattuglia nella città di Brindisi.
Quando arriva il momento, basta un colpo di fischietto, un’alzata di paletta e la macchina viene fatta accostare. C’è sempre un buon motivo per fare una multa.
Antonio Pronat ha pronta la penna che già poggia sul verbale da compilare e, come d’incanto, proprio in quel momento, sopraggiunge Teodoro D’Amici.
“Ma che stai facendo?, è un mio amico, non fare la multa.“
A questo punto l’automobilista è fidelizzato, ed è quindi in debito con Teodoro D’Amici, il quale ora può chiedergli tutto ciò di cui ha bisogno.
Questo è l’uomo vecchio che Teodoro, dopo i fatti di Jaddico, abbandona.
In casa era conosciuto come una figura dolce, una figura amabile. Quando, invece, calcava l’asfalto della città, sembrava che mettesse addosso una corazza.
Alberto Del Sordo nei suoi scritti dice che, quando Teodoro stava sulla pedana circolare di legno, e dirigeva il traffico, sembrava un generale che stava per combattere un’aspra battaglia.
Ma passiamo al momento in cui la Madonna invita Teodoro a venire a Jaddico.
Lo invita e lo rinvita, secondo Alberto Del Sordo per due volte; secondo la versione di Cassano Giuseppina, la moglie di Teodoro, per tre volte; ribadita dal giornalista Ettore Giorgio Potì che in quel tempo scriveva sulla Gazzetta del Mezzogiorno.
Teodoro aderisce all’invito e l’11 agosto 1962 va a Jaddico a pregare. Torna a Jaddico il 20 agosto, perché ancora una volta la Madonna, in sogno, gli rinnova l’invito. In questa ultima occasione lo accompagna la moglie, la quale rimane in macchina. Teodoro si avvicina al muro dove sistema i ceri e i fiori e in quel momento viene sorpreso dall’illuminazione del muro. Teodoro parla alla Madonna e le dice: “Dimmi quello che vuoi e mi farò servo tuo.”
Queste parole erano state già dette duemila anni prima. Ma come faceva Teodoro a sapere queste cose? E’ facile intuire la risposta, anche se Teodoro non ha mai aperto un Vangelo e non ha mai aperto la Bibbia.
La Madonna aveva detto quelle stesse parole duemila anni prima: “Sono la serva del Signore, si compia in me ciò che è stato detto.“
Teodoro si fa servo di Maria, Maria si fa serva di Dio.
Teodoro dice: “Farò tutto quello che vuoi“, la Madonna dice: “Si compia in me la volontà di Dio. Tutto quello che Dio vorrà.“
Teodoro si fa servo della Madonna e, quando un gruppo di persone si stringe intorno a lui, si costituisce in Pia Associazione di preghiera, e prende appunto il nome di “Pia Associazione dei Servi della Madonna.”
Conosce l’Ave Maria, conosce le preghiere più importanti. A messa va qualche volta durante l’anno, magari a quelle comandate, e fa un segno di croce davanti ad una chiesa. Ma il rosario, quello, mica lo sa dire. Naturalmente stiamo parlando di Teodoro!
Cosimo Melacca abita a poche centinaia di metri dal muro di Jaddico. L’Ente Riforma gli aveva assegnato una abitazione ed anche un terreno.
Lavora quel terreno e così la sua famiglia ha di che mangiare e di che vivere.
Doniselli è la marca della bicicletta di Cosimo. Con quella raggiunge la città per fare la spesa e assicurare a quelli di casa di poter mangiare per almeno due giorni; poi rientra con tutte le buste appese su un lato e sull’altro del manubrio e con un sacco pieno di otto-nove chili di pane. Devono mangiare dodici persone. Aveva dieci figli.
In questo modo lui fa il suo rientro da Brindisi e, prima di raggiungere la sua abitazione, passa davanti al muro di Jaddico e si ferma per dare un saluto alla Madonna.
In uno di questi viaggi nota che la nicchia che si è venuta a creare sotto l’immagine della Madonna, appena un po’ più a destra, è diventata tutta nera. Qualcuno ha sistemato dei ceri, e la carta o la plastica si è incendiata e il fumo ha annerito quella cavità.
A Melacca non va giù questa cosa, perché lui va a pregare davanti a quel muro. Non può tollerare che questo sia accaduto e si chiede chi possa essere stato.
Teodoro D’Amici è la risposta dei contadini del luogo da lui interpellati.
Ora Melacca non aspetta altro che incontrare quel D’Amici per cantargliene quattro.
Intanto Teodoro D’Amici che, come sappiamo, va anche lui a Jaddico, davanti a quel muro, trova per terra una corona e chiede anche lui alle persone che lavorano nelle campagne circostanti, a chi appartiene la coroncina.
A Cosimo Melacca gli rispondono e gli dicono pure come fare a raggiungerlo, dove andare a trovarlo.
Teodoro va a trovare Cosimo a casa sua. L’incontro avviene sul piazzale, al di fuori dell’abitazione; Teodoro subito gli chiede: “Ma tu hai perso una corona davanti al muro?“
“No“, è la risposta di Melacca.
Lui, uomo di fede e di preghiera, si vergogna di dover ammettere che ha perso la sua coroncina.
“Ma sei proprio sicuro?“, incalza Teodoro.
“Io non ho perso nessuna corona“, risponde e, per dare valore alle sue parole entra in casa, prende la corona, che non è sua, ma della moglie, e la mostra a Teodoro; a quel punto Teodoro sfila dalla tasca della sua giacca la corona che ha trovato davanti al muro e mentre la regge con due dita, gli dice: “Questa è la tua corona“. Cosimo Melacca cede e ammette.
I due si conoscono. I due si incontrano daccapo quella sera stessa davanti al muro e assieme pregano la Vergine Maria.
Ancora Teodoro non capisce, ma la Madonna già lo guida e lo tiene per mano, per questo motivo inizia, attraverso un percorso di umiltà e di svuotamento di se stesso ad avere la forza di affidarsi a Dio.
Teodoro ormai accetta la vita nuova dell’uomo nuovo che ora abita in lui, e attraverso la sua persona, attraverso la sua vita, si rivolge a Dio con le stesse parole che Gesù aveva pronunciato: “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà.”
In questo percorso di formazione la Madonna ha bisogno della preghiera, gliel’ha chiesta, e gli mette a fianco un contadino, Cosimo Melacca, perchè imparasse, anche attraverso l’uso della coroncina.
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– Sciu an facci a quiddu quadru e li purtai li rosi e dissi: “Matonna mia, sarai ca no sò degnu, ma quisti sontu li rosi ti lu giardinu mia. Sontu pi tei.”
Vittorio Stasi di Mesagne teneva una “Seicento” e solo quando tornava da Jaddico sentiva sempre il profumo della Madonna. Si sentiva attirato da Lei tanto da sentire la necessità di ritornare in quel luogo un’altra volta.
“Quando mi mozzicavo le dita con le forbici di campagna bestemmiavo“, si esprime così Vittorio, per evidenziare che: dopo aver frequentato Jaddico, essersi immerso in quella preghiera notturna e ancor prima di vedere splendere di Luce il muro di Jaddico, non ha bestemmiato più.
“Mi scappano le lacrime, dice mentre racconta di Jaddico, mi avete fatto commuovere“.
Nel buio della notte un rumore come un fulmine, e poi “anfacci allu muru” fiammelle rosse fuoco. Era tutto pieno.
“Madonna del Carmine“, disse Vittorio, e dopo aver raccontato altri, tanti particolari, poi … più nessun rumore: il silenzio assoluto, il profumo.
Il Signore ce lo ha conservato fino a pochi anni fa. Lucido nei ricordi, pieno di entusiasmo e di amore mentre racconta l’esperienza che ha vissuto a Jaddico, e negli occhi, ormai umidi: l’emozione.
Mario, Ugo, Antonio Consales. Tre fratelli.
Il primo viene a sapere attraverso i giornali di ciò che accade a Jaddico, e cerca l’incontro con Teodoro. Sa che deve avvicinarsi a lui con i guanti di velluto, perché sa di avere a che fare, questa è la fama, con un uomo burbero. Ma Teodoro ha bisogno di consensi, ha bisogno di gente che capisca l’esperienza che sta vivendo, e così lo invita alla preghiera notturna: “Se tu vuoi, vieni.“
Non può dire a Mario: “Vedi io sono stato invitato dalla Madonna per il tale giorno e quel giorno ci sarà sicuramente l’illuminazione del muro”. Non può dirglielo! Se questo poi non accade? Intanto lo invita, e Mario e Ugo, i due fratelli che erano imprenditori e avevano una falegnameria, qui a Brindisi, vengono a pregare assieme a Teodoro e agli altri.
Mario e Ugo fanno l’esperienza della Luce. Le loro mogli: per Mario, Edda Gaito, per Ugo, Carla Codutti, ci raccontano quello che i due dicono al loro rientro in casa.
Mario, al ritorno da Jaddico, entra in casa e dice: “Edda, Edda, perché non sei venuta? Ho visto la Luce della Madonna” e piangendo, ribadì: “Sì, sì, ho visto la Luce della Madonna. Quella Luce l’ha vista prima Teodoro e poi tutti noi.“
E invece Ugo, quando entra a casa, piange, piange, come un bambino. “Se tu sapessi, Carla, quello che è successo! Se tu sapessi, ti senti come polvere!”. Teodoro ha detto: “Si illumina la parete”, ma noi non abbiamo visto nulla, poi, ha detto: “La Luce si ritira”. In quel momento abbiamo visto il muro illuminato, color oro. Piange. Ho visto una cosa che non si può descrivere. Stavamo tutti là. Quando Teodoro è venuto verso di noi, era inondato di profumo.
Quando Ugo arriverà al suo ultimo respiro, prega con queste parole: “Madonnina mia, Madonnina mia. ” Poi muore.
Antonio Consales è il fratello dei primi due dei quali vi ho appena parlato. Era il procuratore della assicurazione RAS di Brindisi, in via Duomo.
Non avrebbe mai pensato di venire a Jaddico a pregare con quelle persone. Era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare; ma, siccome l’invito gli arriva dai suoi due fratelli che stima moltissimo, lui aderisce e viene qui a Jaddico a pregare con loro.
Quel giorno è il 31 dicembre 1962 e la chiesa è già avanti nella costruzione. La preghiera si protrae sino a mezzanotte e oltre. Si sentono i botti con i quali si festeggia l’anno nuovo.
Dopo mezzanotte la Madonna si rivela con la sua Luce e Antonio Consales, all’una e mezza di notte, finalmente rientra a casa. Quelli di casa sono in piedi, non prendono pace, lo stanno aspettando, sono preoccupati, perché a quell’ora non è ancora rientrato.
Queste le parole che ci riferisce Aida, la figlia di Antonio: “Il suo viso, il suo volto sprizza felicità.
Poche ore prima, alla fine del Rosario, ha visto il muro illuminarsi. Ha visto la Luce.
Non é più lui. In casa lo conoscono come una colonna, come una persona forte alla quale appoggiarsi, invece ora rivela tutta la sua fragilità, é incredibile come si coglie la sua immensa felicità.
In quel momento Antonio ha descritto il fenomeno e, mentre lo fa, piange, come un bambino.
Una luce che non ha né una origine, né una fine, che avvolge il muro. Della Luce non si vedono i confini.
Questi raccontò: di una Luce diafana, incredibilmente trasparente, di smisurata intensità.“
Tredici anni dopo i fatti di Jaddico, Mario fa già l’esperienza della malattia, anzi della “battaglia durissima“, come lui scrive, quella battaglia che su di lui avrà il sopravvento e gli farà concludere la sua vita terrena.
Il 21 maggio 1975, dall’ospedale di Ancona scrive a Teodoro. Gli chiede di sostenerlo con la preghiera e, sebbene avesse tanto da insegnare agli altri, lo fa con parole piene di umiltà. Gliela chiede, perché Teodoro è capace, si legge in quelle righe, di scalare le montagne fino a raggiungere la cima, senza paura e senza esitazione, così come era avvenuto quando la montagna da scalare era rappresentata da tutte le difficoltà trovate e superate nel portare a termine la costruzione del Santuario.
“La nostra amicizia è troppo grande e bella, voluta da un sacro Muro glorioso, dove abbiamo depositato, per 13 anni, i nostri affanni, le nostre ansie e tutto l’amore del nostro Spirito.
Abbiamo vinto insieme tante, tante battaglie, ed altre ci attendono per il progresso di quel luogo a noi tanto caro.
Oggi mi trovo a dover lottare una battaglia durissima, anche se non riguarda Jaddico. Da solo sono troppo poco, con voi mi sento più forte, specie con il falchetto che, nonostante l’enormità del lavoro che da 13 anni svolge per la Madonna, deve fare il sacrificio per suo fratello, che domanda una profonda e grande collaborazione alla sua maniera, cioè come colui che vede la cima di un monte, per raggiungerla senza paure e senza esitazione.”
Ed ora, anche se non volevo raccontarla così (ma non saprei scrivere in un modo diverso), ricordo che quando ero bambino e Mario parlava dei fatti accaduti a Jaddico, stavo ad ascoltarlo incantato, per il contenuto del racconto e per l’entusiasmo con cui parlava. Sognavo di diventare grande e di poter parlare di Jaddico, come faceva lui. Ma quando ci riesci, non sei tu, non è la bocca che parla, è il cuore, è lo Spirito.
I due, Mario e Teodoro hanno due stili diversi nel condurre la giornata.
Mario usa il telefono per raggiungere le persone, ma quando ha bisogno di parlare con Teodoro, non può chiamarlo, giacché Teodoro, a causa del suo lavoro, sta sempre per strada.
Invece Teodoro non usa il telefono e, con la sua Vespa, raggiunge le persone che vuole contattare. Quando ha bisogno di raggiungere Mario, spesso nello stesso momento in cui Mario vuole parlargli, arriva da lui, proprio come un falchetto. Questo è il motivo per cui Mario, nella sua lettera, chiama Teodoro “il falchetto“.
Alberto Del Sordo fu all’inizio un ostacolo per Jaddico, perché lui non credeva a quanto si diceva fosse accaduto.
Ci fu un giorno in cui Del Sordo, nelle ore centrali della giornata, stava andando con alcuni suoi amici all’Istituto di Storia Patria di Bari. Strada facendo, all’altezza di Jaddico, fa fermare la macchina sulla litoranea ed entra in chiesa.
Ci dice: “Ho avuto il coraggio di entrare in questa chiesa. Era vuota, non c’era anima viva.” Alberto trova il coraggio in pieno giorno, invece Teodoro ci va di notte. Anche se accompagnato, Teodoro raggiunge il muro da solo. Un luogo selvaggio, per certi versi, inquietante. Il canneto, il rumore dell’acqua che scorre nel canale, il rumore delle fronde degli alberi ad alto fusto che ora non ci sono più. Un luogo infestato da serpenti. Di notte poi, qualsiasi rumore si rende sospetto.
Quando Alberto Del Sordo entra in chiesa, appena sta per girare intorno al muro, vede spuntare Teodoro con un tufo sulle spalle e gli chiede del tufo: “Si, è il tufo dove si è poggiata la Madonna“, risponde Teodoro. Alberto Del Sordo non crede e gli dice: “Io ti dò una mano, se quello che tu dici è vero, te le dò tutte e due, ma se così non fosse ( si vedrà se è vero o non è vero) io scriverò di te sui giornali e ti costringerò a lasciare Brindisi.“
Naturalmente anche ad Alberto, Teodoro dice: “Tu vieni e vedi“, e lo invita alla preghiera.
Non sarà alla sua prima preghiera, al suo primo rosario, non sarà al secondo, ma quando Alberto parteciperà al fenomeno della Luce, dirà: “In un fiat quel muro si illuminò di Luce propria e quella Luce era uno splendore di Luce, un trionfo di Luce, pari ad almeno cento riflettori accesi e messi assieme.”
Di queste persone si è detto che non avevano nessuna pretesa culturale.
Mi piace dire che è vero, ma avevano una grande capacità, di vedere con occhi speciali ciò che non si può vedere se non con la Fede.
Loro si sono fatti umili e si sono nascosti, hanno cancellato il proprio Io, il proprio orgoglio senza esibizioni. Però, voglio menzionare solo uno dei tanti. E’ stato uno studioso di storia meridionale, autore di libri, dai quali si potevano leggere pagine di storia brindisina, è stato presidente dell’Università popolare di Brindisi, decano dei giornalisti di Brindisi, ma soprattutto, e questa è la cosa più importante, uno dei componenti della Pia Associazione dei Servi della Madonna: Alberto Del Sordo.
Queste persone si sono fatte piccole e solo così hanno potuto realizzare il Santuario di Jaddico. Piccoli, solo in questo modo potevano riuscire.
Piccoli, perché come un seme, si può diventare un grande arbusto dove gli uccelli del cielo si possono posare. Piccoli, perché come una piccola quantità di lievito, possono fare in modo che, se messi assieme alla farina ed impastati, possono produrre una grande massa (Mt. 13,31-33). Si sono fatti piccoli; se non fosse stato così, non sarebbero stati capaci di costruire una chiesa e realizzare il convento, sia pure nella struttura portante, nei pilastri, nelle travi, nei solai, nella tampagnatura, ancora grezzo.
Completo i cognomi delle persone di cui vi ho fatto cenno, con l’ultimo degli “Jaddicoti” così come benevolmente amavano definirlo quelli di casa: Armido Liberati. Arrivo subito al suo ultimo minuto di vita. Lui muore pregando e dice: “Ave Maria, piena di grazie, il Signore è con te.“
A questo punto non ce la fa più, non ha più le forze per pregare; si ferma, respira, prende fiato, e poi ancora: “Ave Maria piena di grazia“, e prende fiato.
“Ave Maria“, e prende fiato, non ce la fa più.
“Ave“. E muore.
Mi piace dire che muore tra le braccia della Madonna, alla quale rivolge il suo ultimo pensiero.
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Quando la Madonna vuole parlare a Teodoro, gli si presenta in sogno, ed è così che accade anche il 30 settembre 1962.
La Madonna fa una precisa richiesta a Teodoro e gli chiede aiuto: “Ho bisogno di una casa, mi trovo esposta a tutte le intemperie. Non sopporto più.” Teodoro, nello stesso sogno, vede il Muro oscillare e teme che possa cadere: la Madonna usa un linguaggio visivo col fine di fargli vedere quel che potrebbe accadere se non si interviene subito.
Appena due giorni dopo, durante il rosario del 2 ottobre 1962, le persone presenti pregano in piedi, al riparo di una protezione di legno, invece Teodoro è in ginocchio davanti al Muro, davanti a quella che ormai in casa D’Amici viene chiamata “la Madonna nostra“.
Alla fine del rosario, ancora un ultimo saluto alla Madonna, e tutti, come è ormai consuetudine, si spostano sulla strada litoranea, dove la preghiera si conclude con 15 Ave Maria, perché all’epoca, 15 erano i misteri del Rosario. Durante questa preghiera il Muro si illumina e Teodoro, che per primo vede la Luce, vede pure oscillare il Muro, e a gran voce urla: “Il Muro sta cadendo.“
Teodoro corre verso il muro, percorre il tratto più breve in rettilineo, ma trova davanti a sé degli ostacoli: oltre a camionate di terra, blocchi di pietra, frantumi di pilastri da cui sporgono i ferri. Un percorso pericoloso, soprattutto perché fatto con la fretta di arrivare.
Qualcuno, nel vedere quel che accade, dice che Teodoro, correndo, non poggia i piedi per terra, qualcun altro dice di vedere due angeli che lo reggono sui lati come lo stesso Teodoro confermerà: comunque raggiunge il Muro. E cosa fa questa persona?…. Il Muro potrebbe cadergli addosso, ma lui non si preoccupa di questo, lui sa che c’è la Madonna che lo protegge, lui sa che può camminare sulle acque del mare senza affondare perché ha la fede (Mt. 14,29).
Teodoro sarebbe andato davanti a quel muro che stava per crollare e avrebbe alzato le mani e si sarebbe reso un puntello, ma la forza di un uomo non avrebbe potuto reggere un muro che crolla. Di questo lui non si preoccupa. La Madonna in quel modo gli fa capire che deve intervenire presto, perché quel muro sta per crollare e in effetti sul lato sinistro si è creata una lesione che desta preoccupazione.
Il giorno dopo iniziano i lavori per poter realizzare un pilastro che imbracherà il muro e lo renderà sicuro. Glielo ha chiesto la Madonna. Più chiaro di così!
Sin dall’inizio degli eventi prodigiosi, i “Servi della Madonna” hanno tramandato la storia di Jaddico attraverso una tradizione orale e con qualche breve scritto.
Quarant’anni dopo i fatti di Jaddico, un tempo biblico, il Signore manda uno strumento il cui nome è Dario Amodio, il quale chiede informazioni, ma non crede a ciò che gli viene riferito. Tutto questo è giustificato dalle fonti alle quali fa riferimento, come lui stesso mi dirà e soprattutto perché in altri tempi è stato un ateo fervente. Poi decide di scrivere un libro nel quale vuole raccogliere il profilo di una dozzina di personaggi brindisini, ultimo dei quali: Teodoro D’Amici. Quando mi chiede notizie è ancora scettico e in piazza Crispi gli metto nelle mani cento pagine. Sono le fotocopie dei quotidiani di Brindisi, che nel tempo, a partire dal 1962, hanno parlato di Jaddico. Dario inizia a rendersi conto di ciò che a Jaddico è realmente accaduto, pian piano si ricrede e pensa di raccogliere le testimonianze: da sempre questo è il mio progetto che io non ho mai portato avanti perché non mi sono sentito capace. Non ero capace di poterlo fare e non lo sono tutt’ora.
Affianco questa persona e con lui, tutte le sere, vado nelle case di coloro che per primi sono andati a pregare a Jaddico per ascoltarli. Inizia così la raccolta delle testimonianze.
Queste persone vengono da noi contattate per tanti giorni, finché una sera, dopo una intensa giornata di lavoro, confido a Dario di sentirmi stanco. Si trattava di una stanchezza fisica e non mentale. E lui: “Vuoi che ci fermiamo?” No, gli risposi. Non potevo perdere un treno che era in corsa, non potevo perdere questa occasione che il Signore mi aveva dato: la raccolta delle testimonianze! Ciò avrebbe fatto in modo che la storia di Jaddico fino ad allora tradizione orale e che con l’andare del tempo, si correva il rischio che diventasse un po’ fumosa, ora finalmente diventava Storia, diventava un documento, una testimonianza firmata da tante persone che avevano fatto l’esperienza della Luce, diventava un libro.
A Jaddico, i Padri Carmelitani conservano la testimonianza della luce di venticinque persone: Edda Gaito (moglie di Mario Consales), Carla Codutti (moglie di Ugo Consales), Alberto Del Sordo, Rescio Elisabetta, Perchinella Salvatore e la moglie Tomacchio Franca, Stasi Vittorio, Liliana Mele, Esmeralda Mele, Annunziata Mele, Marcella Mele, Anna D’Urso, Alba D’Urso, Rescio Teodoro, Maria Pino D’Astore, Vito Pezzuto e la moglie Maria Berti, Prato Natalina, Stasi Angela, Stasi Antonio, Piscopiello Gino (genero di Teodoro), Cassano Giuseppina (moglie di Teodoro), D’Amici Tina (figlia di Teodoro), D’Amici Teresa (figlia di Teodoro), D’Amici Tonino (figlio di Teodoro).
(Spero di non avere scordato nessuno).
Queste testimonianze sono firmate naturalmente dal testimone della Luce, oltre che da due persone presenti la lettura della stessa testimonianza, e dal Rettore del Santuario: dapprima Padre Andrea Lafflito, e successivamente per avvicendamento, da Padre Innocenzo Parente. Il completamento di questo lavoro prevede che queste testimonianze vengano depositate nelle mani del Vescovo presso la Curia Arcivescovile.
Nell’autunno del 2005 il Vescovo Rocco Talucci, durante la celebrazione liturgica presieduta nel Santuario di Jaddico, affinché non venisse smarrita la memoria, fa esplicita richiesta di una raccolta delle testimonianze relative ai fatti di Jaddico. Il Vescovo invita anche quanti avessero conosciuto Teodoro D’Amici, a fornire notizie sulla sua persona.
Lumeggiando, così si esprime il Vescovo, la figura del principale protagonista degli avvenimenti di Jaddico, potremo meglio comprenderne il messaggio e darne un fondamento più credibile. Se hai conosciuto Teodoro, anche prima dei fatti di Jaddico, e di lui ricordi fatti o parole – anche negativi – ti preghiamo di darne comunicazione ai Padri del Santuario. Tutto, anche una semplice impressione in te suscitata da lui mentre parlava o pregava, è prezioso per tracciare un quadro completo e veritiero del fondatore della nuova Jaddico.
Mosè!, anche lui ci fa parlare di Jaddico. Quando Mosè scende dal monte Sinai, ha il volto raggiante, perché è stato alla presenza di Dio, è stato alla presenza dell’Eterno; la luce di Dio ha colpito il suo volto.
“Mosè non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante.” (Es. 34,29)
Penso se tutte quelle persone che hanno visto la Luce a Jaddico, che hanno fissato lo sguardo sul Muro quando era illuminato, si fossero guardate l’un l’altra in volto, cosa sarebbe successo? Magari anche loro, che erano stati colpiti dalla Luce della Madonna, Luce che non aveva confini, perché in alcune illuminazioni arrivava sino in cielo, anche loro, avrebbero avuto il volto raggiante e luminoso senza saperlo. Proprio come Mosè.
Il Signore aveva dato ad ognuno di loro la possibilità di vedere secondo la propria fede, secondo la purezza del proprio cuore.
Alberto Del Sordo ci dice che a sinistra del Muro, c’era un alberello e prima dell’illuminazione, le foglie di questo albero vibravano senza sosta, ma nel momento in cui la Madonna si rivela con la sua luce, le foglie si fermano come fossero state inchiodate.
Il vento si ferma, i cani non abbaiano più, i grilli non cantano, anche le rane fanno silenzio, e la vigna non ha ombre.
Una persona presente al fatto prodigioso, un fotografo ho letto da qualche parte, commenta che nel momento dell’illuminazione la vigna non ha ombre.
In realtà, non si tratta di un fotografo, si tratta di un sottufficiale della Marina Militare, Gino Piscopiello, il quale, a freddo, commenta, rivolgendosi alla persona che ha al suo fianco: “I ceppi della vigna non hanno ombre.“
Lui è in grado di fare questa osservazione, perché ha l’hobby della fotografia. Passa dagli scatti della macchina fotografica alla camera buia e, come sappiamo, la fotografia è un gioco di luci e ombre, e così si accorge che i ceppi della vigna non hanno ombre.
La natura geme e soffre, ci dice Paolo nella lettera ai Romani, (Rm 8,22) e in questo scritto, la personifica, la associa ad una donna che geme e soffre per le doglie del parto. Quando poi sarà tutto finito, sul volto di quella donna vedremo un sorriso felice. Anche la natura sarà felice e quando sarà tutto finito, anche lei parteciperà alla gioia dell’eternità. Ecco perché la natura non ha avuto ombre, anche lei fa parte del progetto di Dio.
I fatti straordinari di Jaddico sono cessati nel 1963. Non è del tutto vero, i fatti straordinari di Jaddico continuano ancora oggi.
Venite a Jaddico a mezzanotte, vi può capitare di trovare una persona, un uomo, dalla carnagione olivastra, che pensa di stare solo. Ha i gomiti poggiati sull’acquasantiera e con le mani regge il viso. Piange non solo perché grande è il problema che lo angoscia, ma anche perché sente vicina la Madonna che lo consola.
Vi può capitare di veder entrare una persona che qualche ora prima, in provincia di Lecce, con quelli di casa, ha litigato in maniera esasperata.
Ad un certo punto, non reggendo più la situazione, si mette in macchina, e va. Dove va?, non lo sa nemmeno lui. Supera Lecce, supera Brindisi, arriva a Ostuni; si ferma – Ma dove sto andando?- si chiede e torna indietro; sulla strada del ritorno vede un segnale stradale sul quale c’è scritto: “Santa Maria Madre della Chiesa“. Lui non sa nemmeno che esiste questa chiesa e prende per quella strada. Raggiunge il piazzale che trova illuminato e si accorge con sorpresa che quella chiesa è aperta.
E’ quasi mezzanotte quando questo accade, proprio l’orario in cui la Madonna ha chiesto a Teodoro la preghiera. Giulio si siede nei banchi e davanti alla Madonna trova pace e conforto e la forza di sentire la necessità di tornare indietro, dalla sua famiglia, che è ormai in apprensione, giacché non ha più sue notizie. Solo ora accende il cellulare per dire a casa che sta bene e che sta rientrando.
A mezzanotte, vi può capitare di vedere una persona che ha sempre detto che Dio non esiste, e lo ha sempre gridato a tutti per mari e per monti. Arriva anche per lui il momento in cui ha bisogno di qualcuno che lo possa ascoltare; sente così la necessità di entrare in una chiesa. Ma come fare ad entrare in una chiesa, se ha sempre detto che Dio non esiste e che queste sono cose per donnicciole?, allora pensa che si può andare nella chiesa di Jaddico, di notte, quando nessuno lo vede. Ed è questo quello che fa.
Quando arriva a Jaddico, non percorre il corridoio principale, quello centrale, perché ha paura di essere visto, pur sapendo che la chiesa è vuota. Percorre il corridoio laterale e, con la spalla, quasi sfiora il muro, come per rendersi piccolo e non essere visto da nessuno. E quando arriva davanti al muro, si inginocchia e piange e dice alla Madonna: “Anche io sono figlio tuo.”
Lo può fare, perché è notte, perché nessuno lo vede, perché Jaddico è aperta di notte.
Questo è quello che accade a Jaddico di notte, questa è l’esperienza “eccezionale” che tanti laici ancora oggi fanno a Jaddico.
I Servi della Madonna, ho già detto, hanno cancellato il proprio io e si sono resi umili. Gesù rivolgendosi al Padre dice: “Ti ringrazio, Padre del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai grandi e ai potenti e le hai rivelate ai piccoli.” (Lc 10,21-22). Ecco perché il Signore si è rivolto, attraverso la Madonna, a queste persone.
Mi piace aggiungere che, quando queste persone sono salite in cielo, si saranno presentate davanti al Signore e secondo me, ad attenderle c’è stato Gesù, il quale, ha detto loro: “Venite, o benedetti, entrate nel regno dei cieli, quel regno che il Padre mio vi ha preparato sin dai secoli eterni.” (Mt 25,34).