Breve storia del Santuario di Jaddico
La notte tra l’11 e il 12 agosto del 1962 un vigile urbano della città di Brindisi, fa un sogno. Sente una voce femminile che lo invita a raggiungere un luogo, fuori città, in contrada Jaddico, dove c’è un muro sbocconcellato e fatiscente, residuo di un’antica chiesa. Su di esso è visibilissimo uno sbiadito affresco della Madonna, che stringe al seno il bambino Gesù, bello nella sua fattura, ma mal ridotto. La voce, che il vigile capisce essere quella della Madonna, gli dice: “Portami ceri e fiori!”, e lui: “A che ora?”, ed in risposta: “A mezzanotte”.
Al mattino, appena sveglio, pensa allo strano sogno fatto. Sogni di nessuna importanza, dice fra se, e si reca al suo quotidiano lavoro.
Teodoro D’Amici, questo il nome del vigile urbano, 50 anni, coniugato e padre di tre figli, s’era fatto la fama del tipo burbero e intrattabile. Solo pochi intimi sapevano che dietro quella ruvida corazza si nascondeva un uomo buono e gioviale. E’ addetto al servizio stradale e gli autisti sanno, per esperienza, quanto sia rigido nel fare osservare le norme che disciplinano il traffico ed hanno, in un certo senso, paura di lui. A vederlo ad un crocevia, nelle sue funzioni, ritto e severo nei gesti, sembra un generale, cui sia stato affidato l’esito di un’aspra battaglia.
Intanto il sogno, nei modi e nei termini della notte precedente, si ripete per altre due volte. Sogna di essere presso il muro e di udire la voce femminile che lo invita a tornare a mezzanotte, fra il 14 e il 15 di agosto, con fiori e ceri. Per tutta la giornata il ricordo del sogno fatto lo assilla, fino a quando, superata la naturale perplessità, non decide di correre l’avventura.
Una volta libero dal servizio, acquista fiori e ceri, che sistema nella sua auto e raggiunge velocemente la sua casa. Invita quindi Elvio Martinelli, suo inquilino, che occupa l’appartamento posto sopra la sua abitazione, ad accompagnarlo e ne ottiene l’adesione.
La moglie, Giuseppina Cassano, che frattanto, ha notato qualcosa di diverso nel modo di fare del marito e a cui non è sfuggita la presenza dei fiori sul sedile posteriore dell’auto, comincia, com’è naturale, a fantasticare e ad essere angustiata da dubbi circa la sua fedeltà coniugale. Ora lei conosce anche il nome di quella donna, si chiama Assunta. Ha controllato sul calendario. Per questo motivo decide di imporsi il silenzio e di stare in guardia. Teodoro stringe nel cuore il sogno e tace con tutti, anche con la moglie, che inutilmente si cruccia.
Intorno alle 23 del 14 agosto, dunque, Teodoro ed Elvio Martinelli, che non conosce la destinazione, partono alla volta della contrada Jaddico. Qui giunti, Teodoro, fermata l’auto sul ciglio della strada e superato un dirupo profondo circa tre metri, si addentra da solo e si avvicina al rudere. Depone in un recipiente di fortuna i fiori, accende un paio di lumini e, dopo aver recitato qualche preghiera, ritorna presso l’amico, che lo attende. Con lui fa il viaggio di ritorno, come aveva fatto quello di andata.
Al suo rientro in casa, è sottoposto a interrogatorio dalla moglie. Teodoro non risponde, per evitare che la discussione si protragga oltre, adduce a giustificazione del ritardo motivi di servizio. Giuseppina è però convinta che il marito le abbia mentito, ma continua ad imporsi silenzio e pazienza.
Passano così i giorni e giunge la notte del 20 agosto. Giuseppina non riesce a dormire, non sa darsi pace e si volta e si rivolta nel letto, quando a un tratto trattiene il respiro; suo marito parla nel sonno, e lei capta distintamente queste parole: “Madonna mia, vuoi che ti porti ancora dei fiori? per il giorno 20?, …. va bene…. te li porterò…”.
Cade, in quel momento, il sipario del dubbio ed essa può bene intendere a chi erano destinati i fiori la sera del 14 agosto. Si rasserena, quindi, e tace, in attesa che il marito le riveli il suo segreto. Ma invano, perché anche questa volta, Teodoro D’Amici si chiude nel silenzio.
La sera del 20 agosto, Teodoro prega ancora il signor Martinelli di accompagnarlo nella contrada ormai nota, ma questi lascia cadere l’invito, con la scusa che l’ora è parecchio inoltrata e che non si sente lasciare sola in casa la moglie. La signora D’Amici che ha assistito al colloquio dei due, fingendo di non intendere nulla, si fa innanzi e offre al marito la sua compagnia.
“Andiamo!”, risponde il nostro uomo, dopo pochi istanti di incertezza; i coniugi partono insieme per il luogo dell’appuntamento.
Durante il viaggio, regna il silenzio assoluto tra i due. Arrivati sul posto, Teodoro D’Amici ferma l’auto, che lascia in custodia della moglie, e percorre i 50 o 60 metri che lo separano dal sacro muro. Depone i fiori nello stesso recipiente di fortuna. Mentre si accinge ad accendere i lumini, il rudere, come per incanto, si illumina, di una luce intensa che rende brillante l’affresco della Vergine. L’illuminazione dura per alcuni minuti primi. Teodoro è immerso in quella luce, e raccolte le sue forze pronuncerà queste parole: “Dimmi quello che vuoi Madonna mia, e mi farò servo tuo, per accontentarti.”
La signora D’Amici, seduta nella macchina, assiste al fenomeno, ma, in quel momento, non si rende conto, di ciò che accade, e neppure dell’origine di quella luce. Ha paura, è notte, non sa cosa fare. Poi con la stessa rapidità con cui si è manifestata, la luce scompare e il buio pesto torna ad avvolgere ogni cosa. Teodoro, barcollando e quasi nello stato di trance, raggiunge la macchina, siede al suo posto, dando sfogo alla commozione con un pianto dirotto, ma senza proferir parola. La moglie non osa disturbarlo. Dopo un buon quarto d’ora, Teodoro riesce e superare lo stordimento e a rimettere in moto l’auto, che procede lentamente sulla via del ritorno. I due ora parlano e Teodoro racconta alla moglie quanto accaduto.
Il 20 agosto 1962 fu dunque la prima illuminazione del rudere, a essa ne seguiranno altre. La notte del 26 agosto, in sogno, la solita voce invita Teodoro a recarsi, alla mezzanotte del 27, al rudere. Anche questa volta la moglie è sveglia e riesce a raccogliere le seguenti parole: “Hai gradito i fiori? devo portarne ancora?”, e poi: “….lunedì…. non mancherò all’appuntamento…. a mezzanotte”.
A mezzanotte del 27 agosto si ripete lo stesso fenomeno del 20 agosto. Questa volta, però non è soltanto la moglie del D’Amici ad assistervi, ma anche i figli Teresa e Tonino, il sig. Elvio Martinelli con la moglie Maria Moretto, e i genitori di quest’ultima. Appena arrivati, Teodoro va avanti verso il muro. Prima ancora che arrivi davanti all’immagine di Maria, una luce grandissima investe tutta la campagna circostante: la luce viene dal muro. Gli altri presenti, impietriti e presi dall’emozione, cadono in ginocchio, uno dopo l’altro, e cominciano a pregare. Vedono Teodoro in ginocchio davanti al quadro, avvolto da quella luce. Poi quando tutto sarà finito, Teodoro si alza e barcollando li raggiunge. Tutti tacciono. Ora nessuno pone più domande; nessuno nutre più perplessità su quanto era stato ed era accaduto alcuni giorni prima.
Quanto accaduto, ora, non può restare più riservato. La notizia inizia a diffondersi nella città. La gente incredula: “Proprio a quel vigile urbano senza scrupoli? proprio a lui un messaggio dal cielo? Impossibile!”. Ciò che impressiona di più è il silenzio di Teodoro, che non solo non racconta, ma non risponde a chi gli pone delle domande che riguardano i fatti di Jaddico. Teodoro è raccolto, riservato, un cambiamento anche esteriore sta operando in lui.
Il 31 dello stesso mese, sempre a mezzanotte, avviene un’altra illuminazione del rudere, alla presenza di otto persone, che aumenteranno progressivamente nei mesi seguenti. Il 6 settembre Teodoro sogna di andare a trovare la Madonna, la quale lo attendeva in una stradetta piena di spine. Durante questo sogno la Madonna lo invita a costruirle, una chiesa: “Figlio mio, ho tanto freddo, coprimi!”, dice proprio così.
Ed eccoci al grande appuntamento, avvenuto a mezzanotte del 7 settembre 1962. Esso costituisce il nucleo centrale di tutta la vicenda.
Il giorno precedente Teodoro va dalla figlia Tina, che si trova a Brindisi da qualche giorno. Doveva partire con il marito per tornare a Taranto, dove abita. È molto presto. Senza troppi preamboli le dice: “Non partite. Questa notte ho sognato la Madonna, mi ha chiesto di andarLa a trovare a mezzanotte, per portarle fiori e ceri. Non posso assicurarvi nulla, però capita che, dopo essere stato invitato dalla Madonna, a Jaddico, talvolta, avvenga il miracolo della luce”. Tina convince il marito a non partire, e tutta la famiglia la sera si reca a Jaddico.
Si prega con molto fervore. È mezzanotte. È il primo venerdì del mese. Teodoro, come sempre, è davanti all’affresco della Madonna, è in ginocchio e prega. A soli 20 metri da lui, attendono 11 persone. Il buio è tale che esse riescono appena a discernere un puntino luminoso rosso, prodotto da un dischetto di vetro di analogo colore incastonato in una lampada di metallo, grande quanto un pugno, in cui arde un lumino di cera, sospeso sotto la sacra immagine. Ad un tratto rumori strani e frequenti, come di brecciolino scaricato da un camion, provenienti dalle spalle del muro, distolgono Teodoro D’Amici dalla preghiera.
Un brivido lo invade. Si alza di scatto e si muove in direzione dei rumori. Fa pochi passi verso sinistra, giungendo così sul fianco del rudere, quando una luce meravigliosa lo investe. Di fronte a lui, a non più di due metri di distanza, ritta su di un tufo gli appare la Madonna, in tutta la sua regale maestà e splendore. Ha le mani aperte, volte in giù; da esse si sprigionano fasci di raggi che hanno il potere di abbacinarlo. Teodoro cade in ginocchio; poi vinto da tanto splendore e sopraffatto da una profonda emozione, sviene.
Tutti i presenti osservano il fenomeno della luce, che non illumina soltanto il rudere, ma anche la campagna circostante; facilmente deducono che la sorgente di quella luce non può che provenire dal retro del sacro muro e notano che i raggi si estendono in ogni direzione, per centinaia di metri. Emozionati e preoccupati nel contempo per la sorte di Teodoro, che giace a terra privo di sensi, corrono in suo soccorso. Ma prima di raggiungerlo torna il buio.
Il 2 ottobre successivo, alla presenza di 20 persone il rudere si illumina, per la quinta volta e oscilla. La lampada sospesa sotto l’affresco della Madonna ne segue il movimento.
Il 17 ottobre, Teodoro sogna che alcuni operai stanno lavorando alle fondamenta della chiesa, uno schizzo di calce lo raggiunge, colpendolo negli occhi che già gli bruciano. Teodoro chiede aiuto a un operaio, ma in quel momento, durante il sogno, compare la Madonna che gli indica una direzione e che gli dice: “Vai da quella parte dove c’è l’acqua mia, lavati gli occhi, e tutto ti passerà.”
Il 5 novembre il muro torna a illuminarsi per la sesta volta. È questa l’illuminazione più importante, dura cinque minuti primi. Il fenomeno è visibile a tutte le persone presenti. Alcuni fra di loro riescono addirittura a calcolare che i raggi che si proiettano verso il cielo superano i quattrocento metri. Intanto Teodoro che è rimasto in ginocchio, presso l’affresco, ode distintamente queste parole: “Ciò che tu vedi, gli altri non potranno vedere. Cerca l’acqua mia e la troverai”.
Finalmente il 21 novembre 1962, dopo tante ricerche, tra fango e pantano, Teodoro trova l’acqua. Vengono alla luce non una, bensì quattro polle di acqua. È acqua sorgiva che, liberata da detriti, sassi e canne, proprio in quella zona paludosa appare limpida. Teodoro si mette in ginocchio, prende l’acqua con le due mani, ringrazia la Madonna, si lava il viso e la beve. Da quel giorno molti fedeli raggiungono Jaddico per prendere l’acqua e portarla agli ammalati. Tanti ricevono grazie per intercessione di Maria.
Fenomeni, come quello descritto si ripetono nel tempo, ma di durata minore: l’8 dicembre 1962 alla presenza di 25 persone, il 31 dello stesso mese alla presenza di 30 persone, il 20 gennaio 1963 alla presenza di 50 persone, il 12 febbraio 1963 alla presenza di 50.
L’attività di Teodoro D’Amici, frattanto, è divenuta febbrile. Le fondamenta della chiesa sono state già gettate e una squadra di muratori lavora alacremente alla elevazione dei muri. Fra quanti hanno avuto la fortuna di assistere una o più volte ai fenomeni straordinari descritti non mancano quelli che offrono spontaneamente il loro contributo per l’erigenda chiesa, che però Teodoro energicamente rifiuta. Dice che spetta solo a lui solo l’onere e l’onore di costruirla. Così, sacrificando molto di suo e contraendo debiti, fa in modo che i lavori proseguano senza soste. Alla data del 27 maggio 1963, manca alla chiesa la sola copertura. Si ritorna da più parti a insistere perché sia accettato il concorso di tutti, ma Teodoro continua a rifiutare: “Potrete intervenire e offrire tutto ciò che vorrete, così dichiara, dopo che la chiesa sarà stata ultimata almeno nel rustico”.
La data del 27 maggio 1963, è quella dell’ultimo appuntamento visibile con la Madonna, l’ultima illuminazione. Sono presenti 70 e più persone. Terminata la recita del Santo Rosario, all’interno del rustico dell’erigenda chiesa, le persone si spostano tutte sulla strada, per le ultime preghiere, prima di prendere la via del ritorno. Recitano le 15 Ave Maria, (all’epoca erano 15 i misteri del rosario), il Padre Nostro, il Gloria, il Credo e la Salve Regina e stanno per concludere con l’invocazione: “O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi!”, quando nel buio si sente un grido: “Ecco la Madonna!” Questa volta non è la voce di Teodoro a farsi sentire, ma quella di una ragazza sordomuta, che nel pianto indica il quadro della Madonna che in quel momento si illumina.
Il prof. Alberto Del Sordo raccontò che “in un fiat, il rudere si illuminò di luce intensissima, argentea, sicché lo sbiadito affresco della Vergine apparve come rinnovato e vivo nei colori della veste e del manto e che non meno di 100 riflettori messi insieme avrebbero potuto offrire un trionfo di luce come quello”.
Dopo pochi secondi tornano fittissime le tenebre, mentre tutti in ginocchio piangono e pregano. Un silenzio “soprannaturale” anticipava l’illuminazione del muro. Come se il cielo e la terra con le sue creature, il vento, le piante e gli animali, trattenessero il respiro davanti al divino che stava per manifestarsi.
Il 13 giugno 1963 accade un altro straordinario episodio. Durante la fase di silenzio, ci fu quello che venne chiamato uni dei “voli” di Teodoro. Quando alcuni presenti si precipitano a soccorrerlo Teodoro dice : “Sono venuti due angeli, mi hanno preso e trasportato qua”.
E’ ormai convinzione di moltissimi fedeli e pellegrini del santuario di Jaddico che la Madre di Dio, venerata in questo luogo davanti alla sua sacra immagine, che stava per essere completamente distrutta, abbia ricevuto da nostro Signore un incarico particolare, quello di proteggere tutti quelli che vengono a presentarle le proprie necessità.
Il Santuario, è luogo di raccoglimento e di preghiera. E’ aperto giorno e notte. Chi entra percepisce una straordinaria sensazione di pace e di serenità, che lo spinge a tornare. Le grazie più grandi sono quelle interiori. Molte conversioni avvengono grazie all’intercessione di Maria che con amore materno, discreto e delicato, riporta a Gesù chi da lui si era allontanato.
Le fonti:
Diario della sig.ra Giuseppina Cassano, moglie di Teodoro.
Il Santuario di S. Maria Madre della Chiesa (Alberto Del Sordo)
Calendario del Santuario di “S. Maria Madre della Chiesa” – (Jaddico)