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Il primo rosario ( a casa degli ammalati)

rosario a casa degli ammalati

TONI’, STO MORENDO.

             Erano passati alcuni mesi da quando Pino Ribezzo non usciva più da casa, era il 2005. Stava molto male. Tutti in parrocchia si erano accorti della sua assenza, perché durante la messa era sempre presente. Ogni sera lui animava la celebrazione con la sua voce da basso e con la musica, ma da qualche tempo non era più così a causa della sua malattia.

    Per questo motivo decisi di andarlo a trovare, facendomi precedere da una telefonata. Rimase molto contento quando mi vide e fu bellissimo rimanere con lui e intrattenermi a lungo a chiacchierare.

    Era seduto sulla sua poltrona, e la prima cosa che mi disse, anzi che mi sussurrò appena mi avvicinai per abbracciarlo, fu: “Tonì, sto morendo.”

Alla morte non ci si può sottrarre, e Pino viveva questa fase della sua vita in tutta la sua consapevolezza.

    Ma come potevo dirgli che la morte è solo una trasformazione? Come potevo dirgli che la morte è il passaggio necessario per entrare in una vita nuova? Forse per confortarlo dovevo ricordargli quanto Gesù, prima di morire, aveva detto al ladrone pentito: “In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso.” E poiché ho avuto modo, per tanto tempo, di frequentare e conoscere Pino, posso dire che viveva questa sua malattia offrendola al Signore, proprio come aveva fatto Paolo quando, negli Atti, dice che quello era il modo di completare le sofferenze di Cristo.

    Con quella visita pensavo di essere a posto con la mia coscienza, ma dopo poco più di venti giorni, ho sentito la necessità di tornare a trovarlo.

A Pino e sua moglie dissi che non ero bravo nella conversazione, per cui sarei potuto tornare da loro, se volevano, per un Rosario. Ci sarei tornato anche con la mia mamma che ormai si serviva della sedia a rotelle per muoversi.

Hanno accettato.

    Il giovedì successivo, appena uscito dall’ufficio, sono passato dalla casa della mamma, e con lei ho percorso la breve strada che ci separava dall’abitazione di Pino. Qui, mentre ero sul marciapiede, ho sbagliato a suonare il campanello: anziché suonare il primo in basso a destra, ho suonato il primo in basso a sinistra. Mi sono reso conto dell’errore, quando si è affacciata alla porta Anna De Marco, che con noi, ogni ventisette del mese, veniva in pellegrinaggio a piedi a Jaddico. Le ho detto che avevo sbagliato a suonare, e che dovevo andare a casa di Pino per un Rosario, a quel punto lei mi ha risposto: “Vengo anch’io, vado a prendere la mia coroncina.”

Questo è stato il primo rosario nelle case degli ammalati. Prima di congedarmi da Pino, da sua moglie Maria e da Anna, ho assicurato loro che ci saremmo visti dopo una settimana, sempre di giovedì, per un altro Rosario.

    Prima di quel giovedì, Ada D’Ambrosio, una signora che abita a fianco del mio portone, è venuta a trovarmi a casa di sera per propormi di iniziare a pregare con il Rosario nelle case. Io le ho risposto esattamente così: “Ada, non so cosa sto facendo, ma forse questa esperienza l’abbiamo appena iniziata.”

    E fu così che il giovedì successivo, a casa di Pino, oltre ad Anna, c’era anche Ada.

    Nel frattempo, per correttezza, ho parlato con il sacerdote della mia Parrocchia, per sapere se la mia iniziativa fosse corretta e giusta. Mi ha risposto che se queste famiglie liberamente gradivano questo intervento, era una cosa buona, e inoltre mi suggeriva di proporre questa preghiera in maniera semplice.

Pino ci lascia in un giorno caro a Jaddico. Era il 27 gennaio 2005